Pensione di reversibilità, basta una registrazione dell’unione civile
Censurata la disciplina con cui lo Stato subordina la concessione della pensione di reversibilità all’iscrizione nel registro nazionale di un’unione civile che è già validamente costituita e iscritta in un altro Stato

Illegittima, alla luce dei paletti fissati in ambito comunitario, la disciplina con cui lo Stato subordina la concessione di una pensione di reversibilità all’iscrizione nel registro nazionale di un’unione civile che è già validamente costituita e iscritta in un altro Stato. I giudici richiamano il regolamento comunitario relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione Europea per sancire che esso non può tollerare una normativa di uno Stato la quale preveda che la concessione, al partner superstite di un’unione civile validamente costituita e iscritta in un altro Stato, di una pensione di reversibilità, dovuta in ragione dell’esercizio nel primo Stato di un’attività professionale da parte del partner deceduto, sia subordinata alla condizione della previa iscrizione dell’unione civile in un repertorio tenuto da quest’ultimo Stato. Il caso ha riguardato un uomo e una donna francesi, residenti in Francia ma entrambi svolgenti attività di lavoro dipendente in Lussemburgo, che avevano registrato un’unione civile presso il Tribunale civile di Metz. A seguito della morte del partner, la donna si era vista negare dal Lussemburgo la pensione di reversibilità con la motivazione che l’unione civile col compagno era stata registrata in Francia ma non era stata iscritta nel repertorio dello stato civile lussemburghese quando era ancora in vita l’uomo. Per i giudici comunitari, però, è evidente la natura discriminatoria della disciplina normativa lussemburghese, poiché il subordinare la concessione della pensione di reversibilità alla circostanza che l’unione civile su cui fonda la domanda sia stata registrata in Lussemburgo costituisce una misura sproporzionata rispetto al (legittimo) obiettivo di assicurarsi che il trattamento pensionistico, finanziato con fondi pubblici, venga versato soltanto a una persona che possa dimostrare di essere effettivamente il partner del lavoratore deceduto. Tale obiettivo, infatti, può essere raggiunto, osservano i giudici, fissando condizioni meno stringenti, come, per esempio, la produzione di un documento ufficiale promanante dall’autorità competente dello Stato in cui l’unione civile è stata costituita. (Sentenza dell’8 dicembre 2022 della Corte di giustizia dell’Unione Europea)