Solo la “cancellazione” della figura del dipendente pubblico è sufficiente per parlare di mobbing

Insufficienti, invece, i singoli episodi vessatori posti in essere dai superiori del lavoratore

Solo la “cancellazione” della figura del dipendente pubblico è sufficiente per parlare di mobbing

Singoli episodi vessatori subiti dal dipendente pubblico non bastano a parlare di mobbing. Esaminando l’azione giudiziaria portata avanti da un esponente della Polizia penitenziaria, i giudici hanno chiarito che nel pubblico impiego si integra il mobbing solo laddove venga posto in essere un processo sistematico di cancellazione della figura del lavoratore, processo portato avanti attraverso una continua eliminazione dei mezzi e dei rapporti interpersonali necessari per svolgere la normale attività lavorativa. Proprio applicando questa ottica, il lavoratore deve dire addio all’ipotesi di un risarcimento – per i danni patrimoniali e non patrimoniali – in suo favore, ipotesi legata agli episodi vessatori posti in essere, a suo dire, verso la sua persona dai superiori. Nello specifico, il lavoratore ha sostenuto di essere stato oggetto di numerose illegittime azioni disciplinari e di essere stato volontariamente adibito a mansioni stressanti e non compatibili con i suoi problemi di salute. I giudici hanno ribattuto che il tratto caratterizzante del mobbing è rappresentato dalla sussistenza di una condotta volutamente prevaricatoria da parte del datore di lavoro, volta ad emarginare o estromettere il lavoratore dalla struttura organizzativa. Proprio per questo, il dipendente della Polizia penitenziaria non può pretendere alcun risarcimento, poiché non è stata provata la sistematicità degli episodi a suo sfavore addebitabili al datore di lavoro. (Sentenza 952 del 9 febbraio 2022 del Consiglio di Stato)

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