Pensione di reversibilità: decurtazione ammissibile solo per un importo pari a redditi aggiuntivi a disposizione del beneficiario
Inaccettabile la posizione assunta dall’INPS, che in uno specifico caso ha applicato una decurtazione maggiore rispetto ai redditi da lavoro ulteriori maturati dalla pensionata

Se emergono redditi ulteriori nella disponibilità del beneficiario della pensione di reversibilità, allora tale pensione non può essere decurtata di un importo che superi l’ammontare complessivo dei redditi aggiuntivi venuti alla luce. Il caso preso in esame dai giudici riguarda la titolare di un trattamento di reversibilità, la quale ha adito le vie legali nei confronti dell’INPS dopo che l’istituto aveva applicato alla sua pensione una decurtazione maggiore rispetto ai redditi da lavoro che la pensionata aveva maturato in due distinte annualità, ossia 2015 e 2016. A fare chiarezza provvedono i giudici della Corte Costituzionale, precisando che la pensione di reversibilità non può essere decurtata, in caso di cumulo con ulteriori redditi del beneficiario, di un importo che superi l’ammontare complessivo di quei redditi aggiuntivi. Di conseguenza, la normativa contestata dalla pensionata genera una situazione irragionevole che si pone in contrasto con la finalità solidaristica sottesa all’istituto della pensione di reversibilità, che è volta a valorizzare il legame familiare che univa, in vita, il titolare della pensione con chi, alla sua morte, beneficia del trattamento. Diversamente ragionando, invece, detto legame familiare, anziché favorire il superstite, finirebbe paradossalmente per nuocergli, privandolo di una somma che travalica i propri redditi personali. (Sentenza 162 del 30 giugno 2022 della Corte Costituzionale)