Videochiamate come unico strumento a disposizione del detenuto per coltivare la relazione con la figlia

La ragazzina non può recarsi in carcere a causa di alcuni problemi di salute. Respinta la richiesta dell’uomo di ottenere un ‘permesso’ per recarsi a casa e incontrarla di persona

Videochiamate come unico strumento a disposizione del detenuto per coltivare la relazione con la figlia

Il padre costretto in carcere deve coltivare la relazione con la figlia, affetta da una lieve forma di autismo, sfruttando i mezzi messi a disposizione dalla tecnologia, ossia le videochiamate tramite Skype e tramite WhatsApp. Respinta, invece, la richiesta da lui avanzata e mirata ad ottenere un ‘permesso’ per potersi recare a casa per incontrare di persona la figlia. Concordi il magistrato di sorveglianza e i giudici della Cassazione. Non decisiva l’impossibilità per la ragazzina, a causa dei disturbi che la affliggono da tempo, di recarsi in carcere per effettuare colloqui de visu col padre. Ciò anche perché in ogni caso il detenuto ha già effettuato, in un anno, ben diciannove colloqui visivi, tramite Skype e WhatsApp, con la figlia, soddisfacendo le legittime esigenze connesse al mantenimento della loro relazione affettiva. Inutile il richiamo fatto dalla difesa al beneficio che il contatto con il padre produrrebbe per l’equilibrio psico-fisico della minore. Anche perché l’uomo, nonostante la possibilità di effettuare colloqui in video, ha volutamente deciso di interrompere tale forma di comunicazione che pure avrebbe potuto fornire supporto psicologico ed emotivo alla figlia. (Sentenza 3609 dell’1 febbraio 2022 della Cassazione)

news più recenti

Mostra di più...