Risarcito il bracciante agricolo preso a parolacce dal datore di lavoro
Impossibile, secondo i giudici, non prendere atto del contesto degradante in cui il bracciante è stato costretto ad operare
Se il contesto lavorativo è degradante, allora il lavoratore ha diritto ad ottenere un adeguato risarcimento dal datore di lavoro. Questo il punto fermo fissato dai giudici (sentenza dell’8 ottobre 2024 del Tribunale di Tivoli), chiamati a prendere in esame la delicata vicenda riguardante un bracciante agricolo. Inequivocabili i dettagli forniti dal lavoratore, il quale ha raccontato di avere svolto per quasi sette mesi l’attività di bracciante agricolo, osservando un orario articolato dalle 7 alle 16 per tutti i giorni della settimana, e di essere stato costretto ad operare in un contesto degradante, caratterizzato igiene precaria e da continui insulti, anche a sfondo razziale, rivolti nei suoi confronti. Per i giudici è sacrosanto catalogare come mortificante il trattamento subito dal lavoratore. Difatti, si è appurato che effettivamente vi sono stati, in costanza di rapporto di lavoro, atti datoriali idonei a pregiudicare la dignità personale del lavoratore. A questo proposito, un teste ha riferito, che il lavoratore, durante l’esecuzione dell’attività di bracciante agricolo, era costantemente insultato, anche con offese a sfondo razziale, ed era peraltro ospitato in un alloggio poco consono rispetto alle esigenze abitative del lavoratore, ossia in un container collocato a ridosso dei campi e condiviso con altri braccianti. Il teste ha anche narrato che il lavoratore, allorquando riceveva le offese e gli insulti provenienti dal datore di lavoro, si sentiva mortificato e aveva delle crisi di pianto. In particolare, il teste ha parlato di offese costanti e ha riportato frasi inequivocabili, come “negro di merda”, rivolte ai braccianti dal datore di lavoro. Si tratta di comportamenti palesemente spregiativi della persona, con conseguente diritto al risarcimento del danno da parte del bracciante, risarcimento quantificato in 7mila euro. Su questo fronte i giudici precisano che, tenuto conto del contesto in cui sono avvenute le offese, caratterizzate da sistematicità e gratuità, e tenuto conto del fatto che l’insulto proveniva dal titolare della ditta, peraltro nell’ambito di un rapporto non regolarizzato, si ritiene equo fissare un risarcimento del danno alla dignità personale commisurato alla somma di 1.000 euro per ogni mese di durata del rapporto.