Pubblico impiego: condanne penali come ostacolo all’assunzione

Possibile fare riferimento a condanne penali che, a rapporto di lavoro già esistente, comporterebbero il licenziamento senza preavviso secondo la contrattazione collettiva di riferimento

Pubblico impiego: condanne penali come ostacolo all’assunzione

Sono ostative all’accesso al pubblico impiego non soltanto le condanne penali previste espressamente come tali dalla normativa, ma anche quelle che, a rapporto di lavoro già esistente, comporterebbero il licenziamento senza preavviso secondo la contrattazione collettiva di riferimento, previa valutazione in concreto, da parte della pubblica amministrazione, delle circostanze e del rilievo delle condanne rispetto al rapporto da instaurare. Questi i paletti fissati dai giudici (sentenza numero 31215 del 5 dicembre 2024 della Cassazione), i quali hanno sancito in via definitiva la legittimità del diniego di assunzione di un lavoratore – utilmente collocato nelle graduatorie regionali per tecnico informatico e ragioniere – manifestato da una Regione dopo aver valutato la gravità della condotta addebitata, violativa della ‘Legge Merlin’ – per la precisione, reclutamento di persone per l’esercizio della prostituzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione –, condotta sanzionata con due anni di reclusione. Ampliando l’orizzonte, è consentito, osservano i giudici, alla pubblica amministrazione l’inserimento nel bando di regole più restrittive, tra cui quelle riguardanti circostanze ostative, come l’inflizione di una condanna ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo, quale espressione della facoltà normativamente prevista per l’ammissione a particolari carriere o a particolari profili professionali di qualifica o categoria, rispondendo una tale scelta, in ragione del danno che le circostanze in questione sono suscettibili di arrecare all’interesse pubblico, alle esigenze proprie di un dato settore. Nella vicenda in esame, però, non risulta che vi fosse una tale limitazione nelle chiamate della Regione. La questione attiene dunque non ad una previsione generale ed astratta del bando, ma alla possibilità che, in concreto, rispetto al caso specifico, la pubblica amministrazione possa negare l’assunzione in ragione di condanne pregresse non rientranti nei limiti e requisiti assoluti. In generale, poi, vi è la possibilità di valutare come cause di diniego di assunzione quelle medesime situazioni che sarebbero, a rapporto instaurato, cause di destituzione. Seguendo questa prospettiva, non è pensabile, secondo i giudici, che la pubblica amministrazione debba assumere un candidato la cui posizione sia tale che, una volta instaurato il rapporto, si dovrebbe procedere al licenziamento, in ragione delle condanne penali subite. Se è poi vero che di regola il licenziamento può avere corso solo per fatti verificatisi dopo il sorgere del rapporto, ciononostante le falsità documentali o dichiarative ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto anche in relazione alle condanne pregresse si traducono esse stesse in causa di licenziamento prevista dalla legge, ed è il mendacio a fare da cerniera tra i fatti pregressi e la loro rilevanza prima e dopo l’instaurazione del rapporto. Può allora dirsi che così come i casi di destituzione sono suscettibili di essere apprezzati come ragione di diniego di assunzione, analogamente debba accadere quando nel settore dell’impiego privatizzato la contrattazione collettiva preveda certi fatti come ragione di licenziamento senza preavviso, ciò attestando una condizione di improseguibilità del rapporto che, ex ante, si traduce in un limite all’assunzione.

Tornando alla vicenda in esame, quindi, le condotte addebitate al lavoratore, se sono idonee a configurare una causa ostativa alla prosecuzione del rapporto di lavoro a fortiori, non possono non esserlo all’avvio del medesimo rapporto.

news più recenti

Mostra di più...