Non è trasmissibile agli eredi l’azione di nullità del matrimonio

Affinché un erede possa esercitare l’azione di nullità del matrimonio, occorre che il giudizio sia già stato instaurato prima della morte di parte attrice.

Non è trasmissibile agli eredi l’azione di nullità del matrimonio

La parte attrice è figlia di prime nozze e agisce in giudizio affinché venga dichiarata la nullità del secondo matrimonio che il padre ha contratto dopo quattro mesi dallo scioglimento del primo. A distanza di due anni dal nuovo matrimonio, il padre moriva. La figlia di prime nozze chiedeva, quindi, al tribunale di dichiarare la nullità del secondo matrimonio contratto dal padre perché non sussisteva il requisito della libertà di stato; secondo la figlia, infatti, la sentenza di divorzio non era ancora passata in giudicato al momento della celebrazione delle nuove nozze.

In primo grado il giudice accoglieva la domanda e dichiarava la nullità del secondo matrimonio; veniva, quindi, proposto appello e la corte adita, accogliendo, affermava che la figlia non era legittimata all’azione di dichiarazione di nullità del matrimonio. Secondo i giudici di appello l’interesse legittimo e attuale per poter chiedere la nullità del matrimonio deve essere individuato nell’interesse dei titolari di una situazione soggettiva collegata ai rapporti di tipo familiare pregiudicata dagli effetti del matrimonio. La figlia propone ricorso per cassazione.

L’art. 117, comma 1, c.c. prevede diverse ipotesi di nullità del matrimonio, tra cui la mancanza di stato di libertà tra i futuri coniugi. In questo caso l’azione diretta a dichiarare la nullità del matrimonio può essere promossa da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo e attuale, e anche da Pubblico Ministero purché non sia intervenuta la morte di uno dei coniugi. Inoltre, l’azione di impugnazione del matrimonio è intrasmissibile agli eredi a meno che non sia già stato instaurato il giudizio prima della morte dell’attore; questa però, non è l’ipotesi che ricorre nel caso di specie. Secondo il disposto dell’art. 584, comma 1, c.c., una volta che è intervenuta la sentenza dichiarativa della nullità del matrimonio, al coniuge superstite, purché di buonafede, spetta la quota di legittima. Quindi, la prova dell’esistenza di una causa di nullità del matrimonio grava su chi ha interesse a dimostrare la malafede del coniuge superstite. Nel caso di specie, però, la Corte di appello non solo ha accertato la buona fede, ma oltretutto è ha anche accertato la mancanza dell’assolvimento degli oneri probatori da parte della ricorrente, poiché non sono state allegate prove a sostegno della malafede della coniuge superstite. Il ricorso, quindi, veniva rigettato. (Cass. civ., sez. I, ord., 17 gennaio 2024, n. 1772)

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