Niente buono pasto alla lavoratrice madre che usufruisce del permesso per l’allattamento e non raggiunge le 6 ore di lavoro

Niente buono pasto alla lavoratrice madre che usufruisce del permesso per l’allattamento e non raggiunge nella giornata le 6 ore di lavoro. Respinte, nello specifico, le pretese avanzate da alcune dipendenti dell’Agenzia delle Dogane. Irrilevante, chiariscono i giudici, il fatto che ai fini della retribuzione vi sia l’assimilazione delle ore di permesso concesse dall’azienda a quelle di lavoro. Negata dai giudici la possibilità per le lavoratrici di rivendicare i buoni pasto anche per i giorni di lavoro in cui hanno usufruito di permessi per l’allattamento. Decisivo il richiamo al principio secondo cui, in tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, che il lavoratore osservi un orario di lavoro giornaliero di almeno 6 ore (oppure altro orario superiore minimo indicato dalla contrattazione collettiva). Di conseguenza, i buoni pasto non possono essere attribuiti ai lavoratori che, beneficiando delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, osservano, in concreto, un orario giornaliero effettivo inferiore alle suddette 6 ore, né può valere l’equiparazione dei periodi di riposo alle ore lavorative, che vale agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro, in quanto l’attribuzione dei buoni pasto non riguarda né la durata né la retribuzione del lavoro ma è finalizzata a compensare l’estensione dell’orario lavorativo disposta dalla pubblica amministrazione con una agevolazione di carattere assistenziale diretta a consentire il recupero delle energie psico-fisiche dei lavoratori. (Ordinanza 16929 del 25 maggio 2022 della Corte di Cassazione)