Lungaggini processuali: indennizzo addio se il processo era temerario

È esclusa la possibilità di ottenere l'indennizzo previsto dalla c.d. Legge Pinto per irragionevole durata del processo se la parte che ha agito o resistito in giudizio era consapevole dell'infondatezza delle proprie pretese

Lungaggini processuali: indennizzo addio se il processo era temerario

A seguito del rigetto della domanda di equo indennizzo per la durata irragionevole di un processo in materia di trattamento pensionistico privilegiato, l’istante proponeva opposizione senza però avere successo.

Veniva quindi proposto ricorso in Cassazione ritenendo che i giudici di merito avessero erroneamente escluso l’equo indennizzo in forza dell’art. 2, comma 2-quinquies, della c.d. Legge Pinto (legge n. 89/2001) poiché la ricorrente aveva già ottenuto in sede amministrativa il riconoscimento di una congrua pensione e non aveva allegato prove a sostegno della sua pretesa di un più alto livello pensionistico.

La Cassazione ritiene infondato il ricorso e ricorda che l'art. 2, comma 2-quinquies della Legge Pinto «esclude l'indennizzo in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole dell'infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande e difese».

Come da consolidata giurisprudenza, «in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, il patema d'animo derivante dalla situazione di incertezza per l'esito della causa è perciò da escludersi non solo ogni qualvolta la parte rimasta soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dal momento dell'instaurazione del giudizio, ma anche per il periodo comunque conseguente alla consapevolezza dell'infondatezza delle proprie pretese che sia sopravvenuta dopo che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole».

La Corte aggiunge anche che la valutazione di temerarietà del giudizio presupposto è riservata al giudice di merito e non può essere messa in discussione in sede di impugnazione di terzo grado.

In conclusione, il provvedimento impugnato risulta immune dalle censure sollevate e il ricorso viene rigettato (Cass. civ., sez. II, ord., 23 aprile 2024, n. 10909).

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