Lettera firmata, scansionata e inviata all’azienda: impugnazione non accettabile

Respinta l’istanza avanzata da un legale, poiché non validamente effettuata entro il termine di sessanta giorni stabilito dalla legge

Lettera firmata, scansionata e inviata all’azienda: impugnazione non accettabile

Non accettabile l’impugnazione del licenziamento effettuata tramite una lettera firmata e poi scansionata e infine inviata telematicamente alla società datrice di lavoro. Questo il principio fissato dai giudici (sentenza del 10 febbraio 2025 del Tribunale di Napoli), i quali hanno perciò respinto l’istanza avanzata da un legale – per conto del cliente –, valutando l’impugnativa del licenziamento non validamente effettuata entro il termine di sessanta giorni stabilito dalla legge. Per meglio inquadrare la questione, i giudici partono da un dato: il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. Ovviamente, l’atto di impugnazione di licenziamento, quale negozio giuridico unilaterale recettizio dispositivo ricettizio, deve giungere a conoscenza del datore di lavoro per produrre i suoi effetti. Quanto alla forma di tale atto di impugnazione, il licenziamento può essere impugnato con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, purché idoneo a manifestare al datore di lavoro, indipendentemente dalla terminologia usata e senza necessità di formule sacramentali, la volontà del lavoratore di contestare la validità e l’efficacia del licenziamento. A ben vedere, quindi, ad essere libero è esclusivamente il contenuto dell’atto di impugnativa di licenziamento ma non il mezzo della rappresentazione documentale, che il legislatore richiede expressis verbis essere quello della scrittura. Ma perché un documento redatto per iscritto possa inequivocabilmente manifestare la volontà da parte del lavoratore di contestare la legittimità del recesso, il prius logico è che con sicurezza possa ricondursi quel documento (che detta manifestazione di volontà contiene) al suo autore. Le modalità mediante cui può essere individuata la provenienza del documento – il mancato rispetto delle quali comporta l’inidoneità del documento a soddisfare il requisito legale richiesto (con la conseguente impossibilità di attribuzione del documento al suo autore) – sono strettamente disciplinati dalla legge e si differenziano a seconda della materia del documento stesso: e se per il documento cartaceo soccorrono sul punto, per lo più, le norme contemplate dal codice civile, per il documento informatico e le copie informatiche di documenti analogici le disposizioni di riferimento sono contenute nel ‘Codice dell’amministrazione digitale’. Per quanto concerne la copia per immagine su supporto informatico di un documento in originale cartaceo, la scansione dell’impugnazione cartacea può avere la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui è estratta nei seguenti casi: se ad essa è apposta una firma digitale o elettronica qualificata o elettronica avanzata dal lavoratore o dal difensore; se è accompagnata da valida attestazione di conformità di un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato; se è stata formata in origine su supporto analogico nel rispetto delle regole tecniche e la sua conformità all’originale non è espressamente disconosciuta. Invece, tornando al contenzioso preso in esame dai giudici, si è appurato che l’atto cartaceo scansionato non è sottoscritto dal lavoratore o dal difensore né digitalmente né elettronicamente, così come non è dotato di alcuna attestazione di conformità nei termini richiesti dalla legge né è stato formato nel rispetto delle ‘linee guida AGID’. Inoltre, non è stata allegata alcuna procura alle liti, circostanza ancor più rilevante se si considera che la ‘PEC’ di impugnativa stragiudiziale proviene da un procuratore diverso da quello costituito in giudizio. Non ricorrendo neanche uno dei tre elementi indicati, non si può che concludere, sanciscono i giudici, che la trasmissione al datore di lavoro, tramite la ‘PEC’ del difensore, di una siffatta scansione di una comunicazione cartacea di impugnativa di licenziamento non è idonea ad impedire la decadenza. Anche perché la procedura di trasmissione mediante ‘PEC’ da parte del difensore si limita a certificare l’avvenuta spedizione e ricezione della comunicazione, con conseguente individuazione sia del mittente che del destinatario, ma non può certificare la conformità degli atti allegati.

news più recenti

Mostra di più...