L’abuso dei permessi sindacali comporta il licenziamento del lavoratore

Le obiezioni sollevate dall'ex dipendente di un'azienda tessile sono state respinte definitivamente dai giudici, che hanno ritenuto evidente la gravità del comportamento tenuto dall'ex dipendente, rivelatosi grazie all'intervento di un investigatore privato

L’abuso dei permessi sindacali comporta il licenziamento del lavoratore

La vicenda si svolge in un'azienda tessile in cui un dipendente, anche sindacalista, usufruiva di permessi retribuiti per svolgere mansioni sindacali. Un investigatore privato, su incarico dell'azienda, ha scoperto che il dipendente ha utilizzato questi permessi per motivi personali anziché per svolgere le attività sindacali. L'azienda ha ritenuto che questa scoperta fosse un motivo sufficiente per licenziare il dipendente, posizione condivisa dai giudici di merito che hanno considerato grave il comportamento del lavoratore.

I giudici di appello hanno chiarito che non si trattava solo di qualche giorno di assenza ingiustificata, ma piuttosto del fatto che il dipendente, in qualità di sindacalista, aveva utilizzato i permessi retribuiti in modo improprio. La reiterazione del comportamento, unitamente all'utilizzo strumentale del ruolo sindacale, ha contribuito a complicare la situazione. Questo ha portato alla conferma definitiva del licenziamento da parte della Corte di Cassazione.

I giudici hanno chiarito che l'azienda non aveva discrezionalità nel concedere i permessi sindacali, ma questi non potevano essere utilizzati per scopi diversi da quelli previsti dalla normativa. Nonostante il diritto del rappresentante sindacale di godere dei permessi, il datore di lavoro poteva verificare l'utilizzo corretto di tali permessi anche attraverso investigazioni, purché non interferissero direttamente con il lavoro. La qualificazione dell'azione del dipendente come abuso del diritto è stata quindi ritenuta coerente con la situazione specifica, evidenziando l'uso improprio dei permessi per finalità non istituzionali.

La Corte di Cassazione ha quindi sostenuto che la sanzione del licenziamento fosse proporzionale alla condotta del lavoratore, sottolineando l'importanza di rispettare le norme lavorative e sindacali (Cass. n. 20979 del 26 luglio 2024).

 

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