Divieto di accesso alla via pubblica per legge o per ordine della Pubblica Amministrazione: quali conseguenze?

Nell’ambito delle servitù coattive di passaggio, il divieto di utilizzare l'uscita sulla via pubblica a causa di restrizioni legali o amministrative costituisce un ostacolo significativo. È responsabilità del richiedente della servitù dimostrare in modo convincente la presenza di tale impedimento.

Divieto di accesso alla via pubblica per legge o per ordine della Pubblica Amministrazione: quali conseguenze?

La Suprema Corte ha recentemente accolto il ricorso presentato da un proprietario di un terreno contro una decisione della Corte d'Appello di Brescia in merito a una servitù di passaggio. Il ricorrente si è rivolto alla Corte di Cassazione poiché gli era stata negata la possibilità di ottenere una servitù di passaggio per raggiungere la via pubblica.

Per risolvere la controversia, la Cassazione si è concentrata sull'interpretazione dell’articolo 1051 del codice civile, mettendo in luce come l'assenza di un accesso alla via pubblica avrebbe reso inutile il diritto di proprietà, causando danni anche all'attività economica agricola in generale.

Secondo i Giudici, il concetto di isolamento del terreno non riguarda solo le situazioni di isolamento fisico, ma anche quello giuridico, derivante da leggi o decisioni della pubblica amministrazione. In entrambi i casi, la responsabilità della prova riguardo all'impedimento ricade su chi chiede la creazione della servitù coattiva.

Pertanto, la Suprema Corte ha stabilito che è considerato un impedimento all'accesso alla via pubblica il fatto che tale accesso sia vietato dalla legge o dalla pubblica amministrazione; inoltre, spetta a chi chiede la creazione della servitù dimostrare l'impossibilità giuridica di accedere alla via pubblica. Tuttavia, se il consulente del giudice ha escluso che l'interessato possa legalmente usufruire dell'accesso sulla base di informazioni ufficiali, il fatto che non sia stata presentata un'autorizzazione al passo carrabile non può ribaltare tale valutazione tecnica (Cas. n. del 25088 del 18 settembre 2024).

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