Avversario politico additato per avere raccomandato la moglie: esclusa l’ipotesi della diffamazione
Per i giudici è sacrosanto riconoscere il legittimo esercizio del diritto di critica. Rilevante anche il contesto dell’episodio

Nessuna condotta illecita attribuibile al politico che in pieno comizio contesta all’avversario di avergli fatto pressioni affinché la moglie potesse ricevere dal Comune incarichi professionali. Priva di fondamento, di conseguenza, la richiesta di risarcimento presentata dalla donna, la quale ha lamentato, in sostanza, di essere stata pesantemente diffamata. Per i giudici i fatti vanno contestualizzati. Ciò significa che le dichiarazioni offensive pronunciate dal politico finito poi sotto processo debbono essere ricondotte all’esercizio del diritto di critica, essendo state pronunciate nel corso di un comizio. Più precisamente, secondo i giudici si tratta di critica politica, il cui esercizio consente l’utilizzo di espressioni forti e anche suggestive al fine di rendere efficace il discorso. E comunque l’offesa contenuta nelle dichiarazioni pronunciate dall’esponente politico nel contesto di un comizio era da riferirsi, precisano i giudici, non alla donna ma al marito, in quanto la critica politica consisteva proprio nell’attribuire al proprio avversario l’intenzione di raccomandare politicamente la moglie perché potesse ottenere incarichi dal Comune. (Ordinanza 14175 del 5 maggio 2022 della Corte di Cassazione)